Non ho figli. Per il momento. Ma se c’è una cosa che insegnerei al mio bambino o alla mia bambina oggi sarebbe la più banale e semplice del mondo. “Non avere paura”. Il ritornello di un hit radiofonica del momento potrebbe innescarsi nel cervello di chi legge, ma ricordo con più piacere le parole di Karol Wojtyla in piazza San Pietro, pronunciate qualche anno prima che io nascessi. Naturalmente lui, nelle vesti di papa Giovanni Paolo II, chiedeva di aprire le porte a Cristo, ma la cosa bella è che anche se non ci sentiamo rappresentati dalla figura del messia cattolico, il fondamento è sempre lo stesso. Avere fede non vuol dire necessariamente imbattersi nei sentieri impervi della religione.
Tutte le mattine uscendo di casa riponiamo fede e speranza in qualcuno o qualcosa. Sappiamo benissimo di essere appesi a un filo, siamo perfettamente consapevoli che al prossimo rimescolamento di carte, al prossimo soffio di vento o, per farla più poetica, al batter d’ali di una farfalla, tutto può cambiare inesorabilmente. Nel bene o nel male. Ecco perché ci alziamo dal letto ogni mattina. Perché ognuno di noi ha un suo compito ben preciso da portare a termine, anche se molti purtroppo lo ignorano. Eppure il meccanismo c’è. È già innescato, funziona, ed è dentro di noi. Non possiamo attendere per sempre il giorno in cui verremo messi davanti all’ennesima prova della vita. Ne abbiamo già passate tante. Eppure siamo ancora qui. Difficoltà, pericoli, malattie, preoccupazioni, ma sono andate via insieme ai giorni che, menefreghisti, continuano a scivolare, a scorrere. Ed è incredibile quanto spesso diamo per scontata la nostra presenza in questa dimensione terrena da un giorno all’altro. Quanto diamo per scontata la presenza degli altri, delle cose che abbiamo, del nostro lavoro, del nostro conto in banca, degli oggetti che ci sembrano indispensabili ma che appena li dimentichi a casa ti stupisci di come la tua vita sia in grado di proseguire allo stesso identico modo.
Alla fine, sai che c’è? Mi viene da pensare che forse gli unici di cui dobbiamo avere davvero paura siamo noi stessi. Non sempre, eh? Ma in particolare nei momenti in cui dimentichiamo di metterci in gioco, di lavorare su noi stessi per migliorarci, quando ci auto-sabotiamo o procrastiniamo una decisione.
Avremmo energia da vendere e invece la teniamo chiusa. Bloccata dalle convenzioni, dai ruoli che ci sono stati imposti (il timido, il sorridente, la brava ragazza ecc.), dal “software mentale” che qualcuno ha installato nel nostro sistema operativo. A volte capita di ritrovare nel computer che utilizziamo a casa applicazioni o programmi che non abbiamo richiesto e che all’improvvisamente sono comparsi o sono stati messi lì, di default, da chi ha progettato tutta la baracca. Quante paranoie prima di eliminarli del tutto…”E se servissero? E se cancellandoli combinassi un casino e mandassi in palla tutto?”. Quella è solo la modalità arrogante con cui chi ha pensato quel computer vuole che tu lo utilizzi. E solo perché ha stampato sopra a caratteri cubitali il nome del suo brand. Allo stesso modo anche il computer della nostra vita può fare a meno di quelle applicazioni installate da chissà chi e chissà quando.
E quando ti accorgi che il sistema era appesantito da qualcosa che non avevi richiesto, da uno sfondo di desktop brutto e pateticamente filo-aziendale, che nulla ha a che vedere con chi sei tu davvero, a poco a poco in testa si innesca una voce forte e sicura. Non più la stessa che tante volte ha messo in dubbio chi sei davvero e cosa sai fare, ma una di quelle a cui non diresti mai di no e che con un leggero ghigno dice: “‘Sticazzi: non ho paura”.