Cento anni caratterizzati dall’arrivo di un nuovo millennio, ma anche e soprattutto da una dittatura, una seconda guerra mondiale, la nascita della Repubblica e poi ancora il boom economico, gli anni della tensione, l’abbuffata di benessere degli anni Ottanta, il ventennio del bipolarismo politico fino a questa nuova estenuante fase di incertezza. Sul filo dei corsi e dei ricorsi storici fa un certo effetto notare come all’alba dei primi anni Venti del 2000 siano così forti i parallelismi con quelli del secolo scorso.
Per mettere l’accento su questo aspetto, a Genova, a Palazzo Ducale, ha aperto la mostra Gli anni Venti in Italia – L’età dell’incertezza, un viaggio attraverso le arti figurative dell’epoca per descrivere il decennio che va dal termine della Prima Guerra Mondiale al periodo del rafforzamento dei consensi del regime fascista.

Un viaggio che si articola con estrema precisione, suddividendo le aree tematiche in modo chiaro e definito. Dopo una breve introduzione cronologica, che riporta gli eventi principali anno per anno, il percorso racconta come i temi sociali fossero parte integrante anche delle arti figurative, forse più che in passato. De Chirico, Dudreville, e Sironi sono i mattatori indiscussi, coloro che più di ogni altro hanno saputo trasportare sulla tela l’atemporalità dell’epoca: paesaggi essenziali, malinconici e inquietanti al tempo stesso. Il ritorno della centralità del ritratto e lo sfondo di paesaggi sospesi nel tempo sono gli elementi che provano l’effettivo ritorno dell’arte classica del Tre/Quattrocento e la sua rilettura in chiave moderna.

L’esempio più lampante arriva dalla tela In tram di Virgilio Guidi in cui i soggetti sono da una parte messi in risalto dai colori smaltati e dall’altra resi quasi metafisici dall’uso della luce. Fredda e tagliente, li sospende in una atemporalità che affascina e soffoca al tempo stesso.

Nell’epoca dell’incertezza non può non esserci spazio per l’attesa. I soggetti aspettano qualcosa che cambierà le loro vite avvolti dalla gelida sensazione che qualcosa di inaspettato e di totalizzante sta per paralizzare le loro esistenze. Il messaggio arriva forte in L’attesa di Rosai, ma anche e soprattutto in Ragazza con scodella di Felice Casorati e La lunga attesa di Guerello. Sono dipinti permeati da una forte aderenza alla modernità dell’epoca in forma classica. Gli arredi, gli abiti e gli ambienti non lasciano spazio ad ulteriori collocazioni temporali, ma al tempo stesso danno voce in senso assoluto all’estraniazione di cui sopra.

È il periodo che non solo fa da preludio ad un nuovo conflitto mondiale, ma che ancora deve smaltire i postumi del primo, reo di avere sconvolto le esistenze obbligando ognuno aa guardare negli occhi il mostro chiamato guerra. Si idealizza il passato spingendosi fino all’irrazionale. Gli artisti esplorano la dimensione dell’incubo e dell’angoscia per le esperienze traumatiche vissute al fronte e non. Fanno breccia lo spiritismo e le evocazioni che vengono chiamati in causa in opere come L’incendio di Zanini e Viviamo nel mistero che abbiamo violato di Fuga.
Il passo successivo non può che essere quello trasforma questo straniamento nel sogno, nelle suggestioni magiche e misteriose in cui aggrapparsi e in cui ritorna l’eterno presente sospeso che crea un’idea quasi circolare del tempo. La sintesi perfetta è data da La fata della montagna di Mario Sironi.

Con l’ascesa del futurismo, che è il primo vero tentativo di reagire a questa empasse, seppur in modo talvolta bislacco, si fa largo un senso di alienazione che trasforma l’essere umano in un elemento meccanico. Al contempo c’è chi esplora la forza della maschera e della marionetta. Ancora Sironi con Il manichino dunque, ma anche La soubrette di Cornelio Geranziani.

Questa mancanza di certezze dà adito alla ricerca di una nuova identità sociale che viene ricercata sia in ambito politico sia artistico. Le donne, strappate al focolare domestico e costrette a esercitare i mestieri più disparati durante la guerra, acquistano autonomia e indipendenza. Ciononostante il regime intende ripristinare lo status quo che vede la donna come progenitrice e moglie del nuovo uomo fascista. Molti dei principi divulgati dalla retorica di Mussolini erano già stati ampiamente espressi da D’Annunzio con i suoi interventi a Fiume nel 1919 ma privati degli elementi di edonismo, di apertura al divorzio e all’omosessualità e all’uso di sostanze stupefacenti che rappresentavano parte dei capisaldi del suo movimentismo. Se Alberto Savinio mostra apertamente l’androginia del suo soggetto in Penelope; dall’altra l’Autoritratto con brocca blu di Funi rappresenta l’esaltazione della figura maschile in senso estetico.

A dare la spinta necessaria per entrare nel nuovo decennio dimenticando le brutture di quello passato ci pensa anche il mondo dell’intrattenimento. La moda, l’architettura, il design, i divertimenti. Il Déco è il simbolo di quelli che verranno poi definiti gli anni ruggenti in cui lusso, eleganza e glamour diventeranno il modo più semplice e immediato per esorcizzare l’incertezza. La chiave per leggere questi elementi ci arriva da Odéon di Anselmo Bucci, opera che mostra l’interno di un cinema dell’epoca e in cui i soggetti vengono immortalati durante la visione di una pellicola. Ciò che più salta all’occhio è la ricerca della mondanità, il recupero della cura del corpo e dell’immagine, nonché il tentativo di ricercare nell’incontro l’evasione necessaria per riprendere possesso della propria importanza come singolo.

Gli anni Venti in Italia saranno in mostra a Genova a Palazzo Ducale fino al 13 aprile 2020. Un percorso essenziale, ma completo, con buoni approfondimenti, che aiuteranno a comprendere meglio il presente attraverso una rilettura insolita, e decisamente più artistica, del nostro passato.