Ero a casa quel giorno.
Un sabato di primavera inoltrata.
Non ricordo bene cosa stessi facendo di preciso, ma immagino le classiche cose che può fare un bambino di quasi sei anni. In compenso sono assolutamente certo che facesse molto caldo.
Dal tardo pomeriggio in poi iniziai a percepire uno strano fermento, soprattutto in televisione, attraverso le sigle inquietanti dei telegiornali degli anni ‘90, con quelle musiche cupe, angoscianti, che sembravano dirti: “Siamo qui per alimentare la tua paura”. Eppure le conoscevo tutte quelle sigle. Addirittura distinguevo le immagini e i colori dei notiziari del mattino da quelli dell’ora di pranzo o della sera. Quel giorno, però, erano diverse. Avevo da poco imparato a leggere e le scritte sullo schermo recitavano:
“Edizione straordinaria”.
Eh no, quelle sigle così strane non le avevo mai viste.
Ero talmente esperto da accorgermi che non erano le stesse di sempre: erano velocizzate, duravano molto meno delle altre.
Qualcosa non tornava.
Non avevo nemmeno fatto in tempo a domandare cosa fosse un’edizione straordinaria che fui investito da volti tesi, voci tremanti, cariche di sgomento e notizie incerte.
“Vuoi vedere che hanno ammazzato Falcone?” disse qualcuno a casa.
“No – ho pensato – Falcone è quello che prende i delinquenti, non può morire proprio lui”.
Ancora una volta lo sguardo verso la TV e la foto di quel signore con la faccia simpatica e i baffetti che tanto mi ricordavano lo zio che abitava “al mare”. Anche lui in paese lo chiamavano “Falcone”, proprio per via dei baffi e della stazza fisica.
Ad un certo punto le notizie furono certe: “È morto Giovanni Falcone”. Era vero.
Non ho mai amato i supereroi perché erano palesemente finti. Chi andava in giro con tutine attillate o mantelli per salvarci dai delinquenti? Io il mio supereroe lo vedevo tutte le sere al telegiornale e a volte anche in qualche trasmissione. Ogni giorno era come vedere una nuova puntata della striscia quotidiana delle sue avventure, peccato che non capissi nemmeno una parola di quello che diceva. Ma era rassicurante e poi non era finto, come gli altri. Quello i cattivi li prendeva per davvero.
Non mi sono mai soffermato sul cercare di riportare alla mente quando e come questo mito si sia inciso nella mia coscienza. Ho dei ricordi vaghi di qualcuno che mi spiega bene e con parole semplici chi fa cosa e perché, ma si sarà trattato di uno dei tanti momenti in cui la mamma o il papà insegnano al loro bambino a distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Certo, non mi parlavano di Pool Antimafia, di ergastoli, di aule-bunker, di processi, ma per me era tutto chiaro ed incredibilmente semplice: il giudice Falcone faceva catturare i cattivi, i mafiosi, cioè quelli che sparavano e facevano morire la gente.
Oggi, con la mente di un adulto, penso che lui i delinquenti non solo li facesse catturare, ma li studiava, ne capiva le dinamiche interiori e poi li anticipava sul tempo. Per un semplicissimo motivo: perché era cresciuto in strada con loro, a Palermo. Nello stesso quartiere in cui c’erano tanti mafiosi illustri e un amico che rispondeva al nome di Paolo Borsellino. Ma dov’era Palermo? Dov’era la Sicilia? Per me che “La Strage di Via D’Amelio”, che avvenne due mesi dopo, suonava come “la Strage di via Adamello”, la strada in cui abitavo, e mi affacciavo al balcone per capire in quale punto della strada fosse successo ciò di cui parlavano.
Il 23 maggio 1992 fu come se tutti i nemici del mio eroe si fossero coalizzati in una sorta di Alleanza Suprema dei Cattivi con l’intento di fargli del male e a quel punto furono loro, per una volta ma fatale, a prevedere le sue mosse. Nel tardo pomeriggio di quel caldo sabato i cattivi sconfissero definitivamente il mio supereroe preferito e lui se ne andò per sempre. Non sarebbe mai uscito un volume speciale in cui, grazie a chissà quale super-potere, tornava non solo più forte di prima, ma pronto a fare il culo a tutta la gang dei cattivi messi insieme. Al contrario. Negli occhi rimangono impresse solo ore e ore di macerie, un’autostrada completamente saltata per aria, auto accartocciate e un cartello verde con due nomi: PALERMO-CAPACI.
In quei giorni, per radio, iniziava a girare una canzoncina orecchiabile che diceva:
“Hanno ucciso l’uomo ragno
chi sia stato non si sa
forse quelli della Mala
forse la pubblicità”.
“La Mala è come dire la Mafia” mi aveva detto mia madre sintetizzando il più possibile, come le riusciva benissimo, due concetti troppo complessi per essere capiti fino in fondo da un bambino così piccolo. Ma non era difficile per me seguire il filo del discorso: era il periodo in cui la ‘Mala’ distruggeva le vite di chi cercava di combatterla, con una frequenza terrificante. Poi, negli anni, scoprii che insieme a lei, a operare nell’oscurità, c’era anche la cosiddetta ‘pubblicità’, come cantavano nella canzone, cioè quei cattivi che fanno finta di essere buoni e che spesso riescono a ingannarti.
Per anni gli amanti della cultura pop hanno avanzato ipotesi sul vero significato di quella canzone uscita nel 1992. Per un po’ si vociferò che parlasse proprio di Giovanni Falcone. In realtà, seppur travestita da fumettone in musica, raccontava di come la vita adulta ad un certo punto uccida l’infanzia, le sue speranze e anche l’illusione che il bene vinca sempre sul male. Provo ancora un grande brivido, oggi, ripensando a quanto, pur non essendo minimamente riferita alla morte del giudice, quella canzone parli proprio di quel genere di sogni infranti. A neanche sei anni avevo scoperto che spesso sono i cattivi a vincere. E tutti i film, i cartoni e le storie che ho letto e visto da quel giorno non mi hanno mai convinto fino in fondo. Per anni ho cercato di capire, di trovare un senso a tutto questo, ché forse c’era un modo per scoprire chi avesse ucciso l’uomo ragno. Ma niente. E più passano gli anni, più la speranza di conoscere la verità si affievolisce.
Quel giorno capii che i supereroi in carne e ossa tentano sempre di salvarti, eppure a volte non ci riescono e allora devi essere tu, nel tuo piccolo angolo di mondo, a combattere affinché si possa vivere un’esistenza libera dai soprusi. O anche solo per migliorarti.
Nonostante siano passati ventinove anni, ricordando il mio supereroe e i suoi angeli custodi, continuo a ripetermi che questo fumetto è molto diverso da tutti gli altri nei quali, alla fine, si scopre sempre chi è il cattivo. E così mi ritrovo e ci ritroviamo qui a pensare che i veri responsabili, ancora oggi, non hanno né un nome né un volto e che qualcuno ha ucciso l’uomo ragno, ma chi sia stato, proprio non si sa.